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WILLIAM GIBSON NEUROMANTE (Neuromancer, 1984)
A Deb, che l'ha reso possibile, con amore
PARTE PRIMA Chiba City Blues
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Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintoniz- zato su un canale morto. — Non è che mi io — disse qualcuno mentre Case si faceva largo a spintoni tra la calca per infilarsi dentro il Chat. — Solo che all'improvviso il mio corpo ha una drastica carenza di droga. — Era un accento da Sprawl, in una delle espressioni più tipiche dello Sprawl. Il Chatsubo era un bar per espatriati di professione: potevi andarci a bere per una settimana di seguito senza mai sentire due sole parole in giapponese. Ratz si stava occupando del bar, e il suo io anico si muoveva con scatti sempre uguali mentre riempiva un vassoio di Kirin alla spina. Appena vide Case gli sorrise. I suoi denti erano un mosaico di acciaio del- l'Europa orientale e di carie. Case trovò un posto al banco, fra l'improbabi- le abbronzatura di una delle puttane di Lonny Zone e l'inamidata uniforme della marina di un africano allampanato, i cui zigomi erano una essio- ne regolare di cicatrici tribali. — Wage è appena passato con due scagnozzi — l'informò Ratz, spin- gendo una spina lungo il banco con la mano buona. — C'entri qualcosa, Case? Case si strinse nelle spalle. La ragazza alla sua destra hiò e gli die- de di gomito. Il sorriso del barista si allargò vieppiù. La sua bruttezza era leggendaria. In un'epoca in cui la bellezza era alla portata di tutte le tasche, c'era qual- cosa di nobiliare nel fatto che a lui mancasse. Il io d'epoca cigolò quando Ratz si allungò a prendere un altro ale. Era una protesi milita- re russa, o manipolatore a sette funzioni con feedback di forza, hiuso in un tozzo guscio di plastica rosa. — Tu sei troppo artistoide, Herr Case — grugnì Ratz. Quel bramito era il suo equivalente d'una risata. Poi si grattò con l'artiglio rosa la pancia ente sotto la camici
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